Patologie
Stipsi
La stipsi è un problema di frequente riscontro nella pratica clinica, tuttavia non esiste una sua univoca interpretazione. Alcuni pazienti riconducono a questo concetto una ridotta frequenza dell’alvo, altri a disturbi dell’evacuazione o all’emissione di feci molto dure o in quantità ridotta. Vi è inoltre una notevole variabilità soggettiva che rende difficile definire i limiti della normalità e per conseguenza, il momento in cui inizia la stipsi: in generale il termine viene usato per indicare sia la rarità della defecazione, sia la difficoltà nell’evacuazione, anche se in questo caso il termine corretto è quello di sindrome da defecazione ostruita. Per la definizione di stipsi in senso stretto il concetto di frequenza dell’alvo è più facilmente obiettivabile ed è quello pertanto prescelto. Una normale frequenza può essere compresa fra 3 volte al giorno e 3 volte la settimana: se le evacuazioni sono inferiori a 3 volte/settimana si parla di stipsi.
La stipsi è più frequente negli individui sopra i 60 anni di età e nelle donne (con un rapporto di femmine/ maschi di 10:1).. Non è certo sorprendente affermare che la stipsi rappresenta una delle patologie più diffuse dei paesi occidentali affliggendo probabilmente il 20 -30% della popolazione. Negli U.S.A. almeno quattro milioni di persone hanno seri problemi di stipsi, lassativi sono prescritti ogni anno a 2-3 milioni di pazienti. Le classi sociali meno abbienti sono interessate più frequentemente dal problema. L’elevato numero di individui affetti da stipsi si ripercuote sulla spesa sanitaria in termini di numero di visite mediche, di indagini diagnostiche e di consumo di farmaci.
Dal punto di vista fisio-patologico la stipsi è un’alterazione dell’attività propulsiva del grosso intestino e dell’ano-retto, causata da un disordine motorio primario, o associata ad un grande numero di patologie sistemiche (prime tra tutte diabete mellito ed ipotiroidismo), o all’effetto collaterale di svariati farmaci. Anche patologie invalidanti croniche o disturbi psichici sono spesso associati all’insorgere di gravi forme di stipsi.
La valutazione diagnostica ha un ruolo fondamentale nell’inquadramento etiopatogenetico. Una scrupolosa raccolta dell’anamnesi ed un attento esame obiettivo sono necessari per un corretto orientamento diagnostico che può richiedere accurate indagini morfo-funzionali.
Il primo trattamento della stipsi idiopatica, a prescindere dalla sua severità, è di tipo igienico-alimentare. E’ fondamentale tranquillizzare il paziente sull’entità e la gravità dei suoi disturbi, spesso sovradimensionati e vissuti in maniera drammatica. E’ necessario fornire indicazioni sulla gestione della defecazione (evitare di differire lo stimolo, proscrivere l’eccessivo straining).La prima cosa da fare è insegnare a defecare quando se ne senta il bisogno e creare una nuova regolarità nell’alvo. Questo ultimo aspetto può essere favorito incoraggiando il paziente a cercare di defecare ogni giorno alla stessa ora, eventualmente cominciando ad assumere regolarmente un lassativo o piccoli clisteri e contemporaneamente aumentando il contenuto in fibre della dieta. Il paziente deve essere invitato a dedicare ogni giorno 15-20 minuti alla defecazione, duranti i quali siederà sul bagno senza ponzare. L’aumento della attività fisica è spesso consigliato.
Altre volte, sono indicate, specie nella defecazione ostruita, terapie comportamentali e tecniche di biofeedback, con lunghe sedute in centri specializzati.
Quando il trattamento dietetico-comportamentale, farmacologico e riabilitativo risulta inefficace, si potrà prospettare al paziente la soluzione chirurgica e quindi, quando sia indispensabile, anche il chirurgo dovrà effettuare una accurata selezione dei pazienti.
Tuttavia, i pazienti che presentano un “interesse chirurgico” sono una netta minoranza.
Sono stati proposti, nel corso degli anni, numerosi interventi per il trattamento della stipsi refrattaria ai trattamenti conservativi. Alcuni con scarsi risultati funzionali, altri caratterizzati da una elevata morbidità, taluni accompagnati da una accentuazione della sintomatologia lamentata.
Recentemente l’introduzione di nuove tecniche chirurgiche quali la neuromodulazione sacrale e la S.T.A.R.R. hanno permesso di ottenere risultati incoraggianti.
Infine non va tralasciato, l’impatto psicologico della stipsi. Numerose ricerche hanno rilevato che la stipsi può avere impatti molto negativi anche sulla qualità della vita di chi ne soffre, paragonabili, in alcuni casi, a quelli di patologie molto più gravi. La qualità della vita di coloro che ne soffrono è molto inferiore a quella di chi non soffre di stipsi. Questi pazienti hanno una peggiore percezione delle loro condizioni generali di salute; ritengono di essere più inclini ad ammalarsi e pensano sia più probabile che la loro salute peggiori.
SCRIVICI SUBITO ATTRAVERSO LA SEZIONE DEDICATA Poni una domanda